Quando il dolore mentale diventa insostenibile
Il rischio c’è, ed è anche molto concreto, quello che possano aumentare i casi di suicidio per via dell’emergenza sanitaria in corso dovuta al Covid-19 e delle relative misure restrittive.
È ciò che afferma Maurizio Pompili, (medico psichiatra e professore ordinario di psichiatria responsabile del servizio per la prevenzione del suicidio presso l’Azienda ospedaliero – universitaria Sant’Andrea, della Sapienza di Roma).
Il suicidio è un evento multifattoriale
Occorre innanzitutto sottolineare che, indipendentemente dalla situazione dettata dal Covid-19, il suicidio è un evento multifattoriale, non basta, infatti, una sola causa affinché esso si realizzi.
Già più di un secolo fa, nel 1897, Emile Durkheim, nel suo testo più famoso “Il Suicidio”, ipotizzava che il suicidio era determinato da un intergioco di fattori individuali e sociali. L’autore sosteneva, infatti, che i tassi di suicidio a livello nazionale dipendevano dal grado in cui gli individui erano integrati nella società, e dal grado in cui la società regolava i comportamenti individuali.
Quali sono questi fattori che incidono sul rischio di suicidio?
Deve essere preso in considerazione prima di tutto il dolore mentale del soggetto, un dolore così tanto forte e preponderante da far esperire al soggetto la sensazione che “non c’è più via d’uscita”.
Tale dolore mentale, infatti, non porta a cercare la morte, ma a voler sfuggire al pensiero che non ci sia più una via d’uscita, all’idea che non ci sia più nulla da fare. Il dolore mentale si caratterizza di pensieri, ragionamenti e dialoghi che il soggetto sperimenta con se stesso. Questo stato emotivo di dolore mentale è riferibile all’Hopelessness, un sentimento di disperazione che porta il soggetto, appunto, a non vedere più possibilità di vita.
Ulteriori condizioni da prendere in considerazione sono:
La storia familiare
Indagando se ci sono stati precedenti casi di suicidio in famiglia. La familiarità, infatti, è un elemento molto importante da prendere in considerazione. Sono stati condotti diversi studi, i quali hanno dimostrato che, soggetti con una storia familiare di suicidi o tentati suicidi commettevano, in misura maggiore, un suicidio rispetto a soggetti senza storia di suicidi in famiglia. Anche gli studi gemellari hanno confermato i risultati degli studi familiari sopra riportati, affermando che esiste una predisposizione genetica per il suicidio.
È importante però sottolineare che, nonostante il ruolo della genetica, le condotte suicidarie avvengono solo con l’interazione e il contributo dell’ambiente.
L’abuso di sostanze
La relazione tra suicidio e uso di sostanze psicoattive e/o alcol è stato a lungo studiato e molte ricerche hanno evidenziato la stretta correlazione tra le due situazioni.
Un esempio potrebbe essere l’uso prolungato della cocaina. L’utilizzo di questa sostanza aumenta i livelli di dopamina nel cervello, creando quello stato di euforia che tanto viene ricercato dai consumatori; ma un uso prolungato, al contrario, riduce tali livelli di dopamina, ponendo quindi,l’individuo ,in condizione di non provare più quelle sensazioni positive.
Per quanto riguarda l’alcol, il rischio di suicidio si inserisce laddove è già presente una condizione depressiva esperita dal soggetto, soprattutto quando questa si accompagna a crisi di astinenza.
L’essere stati vittime di abusi fisici e/o sessuali
L’essere state/i vittime di una qualsiasi forma di abuso e/o violenza può portare a sperimentare quel dolore mentale di cui si faceva menzione prima. Questo rischio è presente anche per i bambini, vittime di violenza assistita.
Disturbi mentali, patologie psichiatriche o tratti di personalità
La depressione, inclusa quella che rientra nel disturbo bipolare, è coinvolta in oltre il 50% dei tentativi di suicidio e in una percentuale anche maggiore di suicidi compiuti.
Le persone affette da schizofrenia o altri disturbi psicotici potrebbero avere deliri (convinzioni false stabili) che non riescono a gestire, oppure potrebbero sentire voci (allucinazioni uditive) che ordinano loro di uccidersi. Inoltre, le persone affette da schizofrenia tendono alla depressione.
Anche i soggetti con disturbo borderline della personalità o con disturbo antisociale della personalità, specialmente quelli con trascorsi di comportamento violento, presentano un rischio maggiore di suicidio. I soggetti con questi disturbi tollerano male la frustrazione e reagiscono impetuosamente allo stress, il che talvolta conduce all’autolesionismo o a comportamenti aggressivi.
La presenza di “life stressors”
Situazioni di vita stressanti, legate a questioni familiari o economiche; questi “life stressors” se non gestiti in maniera adeguata, possono portare l’individuo a sperimentare quel dolore mentale di cui abbiamo parlato.
Cosa cambia per il suicidio ai tempi del covid-19?
Sicuramente tutte queste condizioni sopra elencate risuonano maggiormente durante questa situazione di isolamento forzato, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei “life stressors”.
L’esposizione mediatica e la visione quotidiana di programmi tv che parlano dell’emergenza e di tutte le situazioni ad essa correlate, sono una grande fonte di stress, soprattutto per quei soggetti con pregresse fragilità emotive.
Così come la convivenza forzata o, al contrario, un forzato isolamento.
Di fatto le caratteristiche alla base di atti suicidari non sono diverse: alla base c’è sempre un dolore mentale ingestibile dato da una serie di ingestibili life stressors.
La differenza è che, in questo periodo, i life stressors aumentano. La paura per il futuro, in primis. La paura di possibili conseguenze economiche che rendono il nostro futuro molto incerto. Il rischio di perdere il lavoro, o di averlo già perso.
Ma anche fattori di stress molto forti legati alla professione, di medici e infermieri soprattutto, che si vedono sopraffatti da turni di lavoro infiniti, ma anche dall’impossibilità di abbracciare i loro cari, passare del tempo con i loro figli, abbracciarli, rassicurarli.
Vedere quotidianamente gente che soffre, che muore, senza poter fare più di quanto hanno già fatto.
Tutti questi sono una serie di eventi precipitanti che possono portare ad atti suicidari.
In genere i suicidi non avvengono di punto in bianco. Si parla spesso di “carriere suicidarie”, in quanto la decisione di porre fine alla propria vita si sviluppa lungo un continuum temporale fatto di “tentativi” di suicidio.
Si parte, solitamente da sentimenti di disperazione, un’iniziale ideazione suicidaria, da piani di suicidio, da tentativi e alla fine dal suicidio vero e proprio.
È importante sottolineare che, ai fini di una valutazione del rischio suicidario non devono presentarsi necessariamente nella persona ferite o lesioni, ma basta il loro potenziale.
A questo punto è d’obbligo sottolineare alcune situazioni che NON devono assolutamente verificarsi quando ci si trova di fronte ad una persona con idee suicidarie.
- Ignorare o minimizzare il problema e il suo dolore mentale;
- Agire nei suoi confronti con imbarazzo o paura;
- Sfidarlo e dibattere sull’argomento;
- Dare “consigli” sulla base del “secondo me dovresti/non dovresti fare o dire”.
È invece utile porre attenzione a quelli che sono i segnali di rischio, ovvero:
- Desiderio di morire per mettere fine al dolore mentale e alle sofferenze che ne conseguono;
- Udire segnali verbali come “magari fossi morto” o “ho intenzione di farla finita”;
- Notare segnali meno diretti, ma pur sempre d’allarme come “a che serve vivere?” “A chi importerebbe se morissi”;
- Isolarsi da amici e familiari;
- Disfarsi di cose care;
- Mostrare un miglioramento improvviso e inspiegabile dell’umore;
- Trascurare l’aspetto fisico e l’igiene;
- Alterazione del ritmo sonno – veglia
L’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che, nonostante non tutti i suicidi possano essere prevenuti, con un’accurata valutazione del rischio e interventi specifici molte vite potrebbero essere salvate.
Per ulteriori informazioni puoi contattarmi
392 7090510
sonia.minati@gmail.com